La storia dell'erboristeria, ovvero l'arte di curarsi con le erbe.
Un affascinante viaggio lungo 4000 anni di storia alla scoperta di come l'erboristeria abbia accompagnato e curato l'uomo attraversando epoche, luoghi e culture molto differenti.
I grandi maestri arabi
Gli arabi furono grandi medici, abili manipolatori di piante ed importatori di droghe dall’oriente; lo stesso Maometto pare abbia fatto uso di erbe medicinali e ne abbia prescritto a lungo l’impiego.
Come del resto è avvenuto avvenuto in altri campi del sapere e della scienza (si pensi ad esempio alla matematica, all'astronomia, alla medicina, alla chimica) gli Arabi fanno da tramite tra oriente e occidente, diffondendo le droghe, studiandone le proprietà e gli effetti, diffondendole nel bacino del Mediterraneo.
Essi traggono le prime informazioni sull’uso di erbe medicamentose dalle usanze dei cinesi, persiani, ebrei, spagnoli, comparano i nomi dati da questi popoli alle piante con i loro, ed è grazie alla loro intensa attività se la mirra, il tamarindo, il pepe, il garofano, la canfora, la noce moscata e la noce vomica entrano a pieno diritto nell’uso comune e assumono valore terapeutico ed afrodisiaco, vengono utilizzate per la conservazione dei cibi, per la composizione di linimenti, pozioni, unguenti.
Si aprono le prime farmacie a Bagdad e al Cairo, a testimonianza del livello avanzato di quelle popolazioni .
Fu un medico arabo, Ibn el Baitar, a insegnare al mondo come raccogliere, usare, studiarne le proprietà, e come conservare le erbe medicamentose.
Ibn el Baitar scrive il Corpo dei Semplici, un’opera monumentale di farmacologia, riprendendo in parte la dottrina dei medici greci e alessandrini, ma arricchendola di un gran numero di annotazioni personali, di descrizioni minuziose e acute.
Frutto di un così vivo interesse di ricerca per il mondo delle erbe è la stesura di un elendo di 1400 ricette farmacologiche, un gran numero delle quali usate la prima volta.
Le farmacie
Si aprono dunque presso gli Arabi le prime farmacie pubbliche che diventano i santuari dove tutto si può imparare e sperimentare sulle proprietà delle erbe.
Gli unguenti, le pozioni, le droghe vi vengono conservati in vasi e "alberelli" decorati di maiolica e in questi contenitori viaggiano lungo il Mediterraneo arrivando in Spagna, in Francia in Italia, diffondendo, oltre la conoscenza e le proprietà dei contenuti, anche l’arte della maiolica.
Accanto ai farmacisti i medici, tra i quali quel Mosué che studiò a fondo l’uso dei purganti, li classificò in gruppi bandendo l’uso di quelli drastici in paesi dal clima torrido e raccomandando in loro sostituzione certi frutti provenienti dalla Siria, i Mirabolani, assai simili alle prugne.
I Mirabolani furono molto apprezzati e usati.
Le "mode"
Ogni epoca e ogni popolo per lunghissimo tempo, aderisce cioè a mode terapeutiche diffondendole e accettandole come toccasana di molti mali, salvo privarsene e dimenticarle non appena altri rimedi e altre panacee si affacciano all’orizzonte e si impongono all’opinione pubblica; nulla di nuovo quindi rispetto a oggi, dove si assiste al medesimo fenomeno, molto amplificato dalla pubblicità.
Altri medici arabi studiano le proprietà narcotiche del Giusquiamo e ne raccomandano il fumo; altri ancora si dedicano alla Canfora.
Di questa pianta si occupò per primo il medico Rhazes e la canfora venne ad assumere significati diversi nel tempo a seconda delle interpretazioni che i medici dell’antichità davano alle sue proprietà, che Rhazes considerava "fredde" e proprio per questo contrarie alla virilità.
Fu forse per questo che nel Medioevo certi monaci portavano foglie di canfora sotto l’abito, convinti così di riuscire a conservare la castità.
Solo più tardi miti e superstizioni furono un poco sfatati e così si riconobbero agli estratti della canfora le qualità di disinfettanti.
Questa pianta ha fatto dunque discutere a lungo gli specialisti anche per gli effetti collaterali e le molte interrelazioni con altre piante ai cui estratti poteva associarsi.
Dalla canfora passiamo all’hashish, estratto dalla canapa indiana, usatissimo presso gli arabi per ottenere effetti inebrianti.
La connotazione negativa sugli effetti dell’hashish e il vocabolo hashshashin (assassino) che ne derivano sono legati alla storia del veglio della montagna, forse lo stesso di cui narra Marco Polo in una famosa pagina del Milione.
Costui teneva in una specie di giardino incantato, in località nascosta e sicura, una banda di predoni che fin da giovani educava all’uso della droga, sotto la cui influenza poi depredavano carovane e villaggi, compiendo ogni sorta di delitti.
Il discorso sui meriti degli Arabi nel campo della farmacopea con le erbe medicinali sarebbe ancora molto lungo e complesso,ma il loro contributo in campo scientifico è davvero innegabile; essi insegnarono infatti anche le metodologie per raccogliere ed essiccare le piante per estrarne i principi attivi, per conservarle; parlarono per primi di principi volatili, di luoghi ideali per la crescita e la raccolta delle erbe, della convivenza tra piante medicinali di diversa specie, dell’aumento e della diminuzione delle loro proprietà terapeutiche in rapporto alla vicinanza con altre piante; distinsero tra concentrazione di proprietà in rapporto a radici, fusto, foglie, fiori, semi, sviluppando insomma una complessa letteratura scientifica "seria", destinata ad alimentare in larga parte la scuola italiana.
Non perdere anche gli altri capitoli:
La storia dell'erboristeria capitolo 1: la mitologia
La storia dell'erboristeria capitolo 2: medici, scrittori e re
La storia dell'erboristeria capitolo 3: il medioevo, l'epoca d'oro
La storia dell'erboristeria capitolo 4: gli arabi
La storia dell'erboristeria capitolo 5: la scuola salernitana e le repubbliche marinare
La storia dell'erboristeria capitolo 6: dal rinascimento ai tempi moderni